Con sentenza n. 23708 del 6 novembre 2014 la Cassazione ha ritenuto nulla la clausola con la quale si costituisce o si ritiene esistente una “servitù di parcheggio” a carico di un fondo ed a  favore di un soggetto terzo. Tale pattuizione, secondo la Suprema Corte, sarebbe nulla per impossibilità dell’oggetto.

Secondo la definizione del codice civile la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Le caratteristiche principali della servitù sono pertanto la presenza di due fondi; l’appartenenza di questi fondi a diversi proprietari; l’imposizione di un peso su di un fondo a favore dell’altro.

Fatte salve alcune ipotesi specificamente previste dalla legge, quale ad esempio la servitù di passaggio, il codice civile non specifica quale sia il contenuto del diritto di servitù. La dottrina maggioritaria e la costante giurisprudenza in materia considerano pertanto   la servitù quale diritto a “contenuto atipico” nel senso che la legge ne individua le sue caratteristiche principali lasciando libertà alle parti di definirne l’oggetto. Al fine di individuare quali fattispecie rientrino o meno nel novero delle servitù occorre pertanto partire dal requisito fondamentale di tale diritto ossia che l’utilità sia strettamente connessa al fondo (c.d. realitas).

La giurisprudenza è costante nell’affermare  che il parcheggio dell’autovettura in una determinata area non costituisce servitù in quanto il fatto non è connotato da realitas, bensì semplicemente da commoditas, ossia da una maggiore comodità per il proprietario dell’autovettura e pertanto tale fattispecie difetta del requisito dell’utilità inerente al fondo dominante.

La sentenza in commento trae invece conseguenze diverse relativamente alla stessa fattispecie in quanto anziché qualificarla come una convenzione obbligatoria che vincola una parte a far godere all’altra un’area per il parcheggio della propria autovettura e dal quale nasce un diritto di credito personale, ritiene che tale contratto sarebbe da considerarsi nullo per impossibilità dell’oggetto difettando il requisito della inerenza al fondo. Il principio di diritto affermato da tale ultima sentenza si pone, dunque,  in contrasto con i precedenti della stessa Suprema Corte.

Secondo parte della dottrina, se è plausibile e corretto non riconoscere al diritto di parcheggio la natura di diritto reale di servitù, risulta invece incomprensibile ritenere tale pattuizione nulla anziché qualificarla come un contratto obbligatorio che coinvolge esclusivamente le parti e non i rispettivi fondi. Il contratto avrà effetti obbligatori limitati al concedente e non avrà l’efficacia erga omnes tipica dei diritti reali, ossia l’opponibilità di tale diritto ai successivi possessori del fondo.

Secondo altra parte della dottrina, al contrario, tale diritto è configurabile come “servitù irregolare”  perché se è vero che l’utilità, secondo il codice civile, deve essere relativa ad un fondo, è pur vero che di tale utilità si avvantaggia il titolare del fondo stesso: così come nella servitù di passaggio chi transita è il proprietario del fondo dominante nella servitù di parcheggio è pur sempre il proprietario dell’autovettura che se ne avvantaggia. L’utilità pertanto, in ultima istanza sarebbe sempre riferita non ad un fondo quanto a un soggetto titolare dello stesso. Tale sentenza, se sarà confermata in altre successive, o se sarà utilizzata come precedente dalle corti di merito, potrebbe avere effetti devastanti relativamente alle numerose “servitù di parcheggio” costituite ed esistenti in diversi condomini che, secondo tale nuovo orientamento, sarebbero tutte affette da nullità.