Con la sentenza del 26.10.2016 n. 21614 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della fattispecie del cd. “trust autodichiarato” ovvero del caso in cui il soggetto disponente ed il trustee vengono a coincidere nello stesso soggetto. La sentenza appare di particolare rilevanza in quanto ne sancisce la legittimità e fissa nuovi principi che rivedono precedenti orientamenti giurisprudenziali e dell’amministrazione finanziaria.

La sentenza stabilisce infatti con riferimento alla tassazione dovuta che al trust autodichiarato non si applicano le imposte proporzionali dovute per i trasferimenti di beni e diritti bensì quelle previste in maniera fissa. L’affermazione di questo principio è particolarmente rilevante sia in campo fiscale che in campo civilistico in quanto si pone, per sua stessa affermazione, in contrasto con una serie di nutrite interpretazioni giurisprudenziali, alcune delle quali avevano addirittura negato legittimità alla figura stessa del trust autodichiarato.

Per tutte basta ricordare che la stessa Corte con ordinanza 25.2.2016 n. 3886 ne aveva addirittura dichiarato la nullità, stabilendo pur tuttavia che le imposte fossero dovute le imposte in misura proporzionale.

Con tutta probabilità questa giurisprudenza sfavorevole all’istituto era motivata da fattispecie concrete in cui era stato operato un ricorso fin troppo disinvolto al trust: si pensi al caso del soggetto fortemente indebitato che cerchi di sottrarre ai creditori i propri beni attraverso atti dispositivi a favore di trust di cui magari era esso stesso trustee con le conseguenti possibili azioni revocatorie e in certi casi di nullità che ne derivavano.

La sentenza n. 21614 opera invece una revisione critica con un approccio sostanziale al tema. Partendo dall’assunto (ormai pacificamente accolto) che il trust non è un soggetto di diritto autonomo in quanto costituisce un complesso di beni e diritti formalmente intestato al trustee ma finalizzato ad un preciso programma a favore dei soggetti beneficiari la sentenza rivede la portata dell’art. 2 c. 47 della l. 262/2006, reintroduttiva dell’imposta di successione e donazione, che ha stabilito tra l’altro la tassazione dei vincoli di destinazione.

La precedente giurisprudenza e l’Agenzia delle Entrate consideravano questa disposizione come una disposizione dal contenuto nuovo e volta a tassare il vincolo di destinazione in sè costituito per effetto del trust (o di altre disposizioni quali quelle del fondo patrimoniale o del vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c.) e ciò indipendentemente dal concreto effettivo trasferimento di beni derivante dagli stessi atti dispositivi.

La stessa interpretazione appariva confermata dall’amministrazione finanziaria con le circolari 48/E del 2007 e 3/E del 2008. Questo principio aveva creato perplessità e difficoltà negli operatori interessati a ricorrere ad istituti come quelli sopracitati il cui scopo principale non era tanto il trasferimento di diritti quanto la destinazione degli stessi ad una specifica finalità.

La Cassazione con questa innovativa sentenza afferma che il trust autodichiarato costituisce in realtà una forma di donazione indiretta in quanto, in carenza del trasferimento dei beni costituiti in trust (coincidendo disponente e trustee), i beneficiari diverranno attributari dei medesimi non in via immediata bensì in virtù del programma previsto nell’atto istitutivo del trust. Nel medio termine l’effetto che si realizza perciò è solo quello di separazione del bene dal patrimonio del disponente stesso.

Questo principio, anche se origina dall’esame della situazione concretamente presentatasi alla Corte e se rappresenta nel caso del trust un effetto comune, in quanto i beneficiari non sono di norma titolari di diritti soggettivi sui beni in trust bensì interessati ad una gestione diligente ed efficace del trust fund medesimo, nel caso del trust autodichiarato porta i giudici alla enunciazione del principio ulteriore della non tassabilità dell’operazione: poichè nell’atto istitutivo del trust autodichiarato difetta un reale trasferimento suscettibile di generare materia imponibile l’effetto immediato si limita alla temporanea segregazione dei beni comportante la preservazione del patrimonio destinato.

Su questo presupposto i giudici affermano quindi che il presupposto applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni è il reale arricchimento che potrà aversi solo con il trasferimento di beni e diritti ai sensi dell’art. 1 del tus e smentiscono l’interpretazione secondo la quale la legge avrebbe voluto reintrodurre una nuova autonoma imposta sul vincolo di destinazione. Concludono perciò nel senso che il presupposto impositivo rimane sempre il reale trasferimento di beni e diritti comportante l’arricchimento effettivo ed immediato del beneficiario. La nuova formulazione normativa mira in definitiva, secondo i giudici di legittimità, ad evitare perciò che ci sia imposta in assenza di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari.

Per detti motivi in assenza di un reale arricchimento derivante da un reale trasferimento di beni e diritti la tassazione dovuta è quella in misura fissa e non proporzionale.