Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5087, depositata il giorno 5 marzo 2014 riconoscono la possibilità di usucapire l’azienda con il possesso continuato ventennale.

Secondo la Suprema Corte l’azienda, ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, quale complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli beni che la compongono, e quindi suscettibile di essere unitariamente posseduta e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapita.

Il ragionamento che ha portato il Supremo Collegio a ritenere ammissibile l’acquisto dell’azienda a titolo originario per usucapione muove i suoi passi dalla definizione stessa di azienda e dalla sua natura giuridica.

Secondo la Corte, se il possesso si esercita sulla cosa,  e se si intende il termine “cosa” in senso economico-sociale, si possono considerare “cose” anche beni non corporei, come i beni immateriali (proprietà intellettuale, ad esempio) o complessi di beni organizzati, come ad esempio l’azienda, definita dal codice civile stesso come complesso organizzato di beni per l’esercizio di una impresa.

La Corte esprime una concezione “oggettivata” dell’azienda che, senza cancellare il suo collegamento organizzativo e finalistico con l’attività d’impresa, assume una propria autonomia di “cosa”, possibile oggetto di rapporti giuridici e di diritti. Occorre a tal fine separare l’azienda intesa come cosa, dall’insieme dei singoli beni e dall’esercizio dell’impresa.

I giudici in tal senso adducono quali esempi  tipici di dissociazione tra proprietà dell’azienda intesa come “res” e esercizio dell’impresa il caso della successione mortis causa a favore di soggetti non imprenditori, l’affitto e l’usufrutto di azienda. In tutti questi casi la proprietà della stessa è sganciata dal suo esercizio, in quanto l’azienda è nella disponibilità del proprietario della “cosa” senza che da parte dello stesso vi sia esercizio dell’attività di impresa.

La Corte di Cassazione stautisce quindi che, ai fini dell’usucapione, risulta decisivo il tema dell’oggettività dell’azienda, considerata unitariamente quale oggetto di diritti rientrante in una delle categorie di beni regolate dal codice civile nel libro terzo e pertanto ritiene ad essa applicabile la disciplina relativa alla titolarità, tra cui l’usucapione come acquisto a titolo originario. Prevale, a tal proposito, in dottrina e giurisprudenza la tesi che considera l’azienda come una universalità di beni, equiparabile ad una  “universitas rerum” regolata dall’art. 816 codice civile (cd. “teoria atomistica”).

La Corte aggiunge inoltre che è dallo stesso codice civile che si può desumere l’usucapibilità dell’azienda.

L’art. 1140 definisce infatti il possesso come potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Che l’azienda possa essere oggetto di proprietà o usufrutto è espressamente stabilito dal codice agli articoli 2556 e 2561. E’ quindi pienamente giustificata l’affermazione che colui il quale esercita sull’azienda un’attività corrispondente a quella di un proprietario o di un usufruttuario la possiede e, nel concorso degli altri requisiti di legge, la usucapisce.

Per tali motivi, in conclusione, per le Sezioni Unite, l’azienda può essere usucapibile qualora ricorrano tutti i presupposti di legge per l’usucapione stessa.

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